Sono veramente lieto di partecipare a questo incontro culturale, che ha come tema la presentazione del libro “ARCIDIOCESI di ROSSANO-CARIATI-Storia di un cammino”, recentissimo lavoro dell’instancabile Don Luigi Renzo, vescovo emerito di Mileto-Nicotera-Tropea, tornato dopo 14 anni di episcopato in quell’antica sede vescovile, nella sua amata Rossano che – come è noto – dal 1986, nella geografia ecclesiastico-amministrativa della Calabria, è capoluogo dell’Arcidiocesi di Rossano-Cariati. Tralascio di soffermarmi sul lungo e prestigioso curriculum di D. Luigi Renzo, di cui ha già riferito la moderatrice, e mi limito, prima di entrare nel merito del libro da presentare, a sottolineare il lungo e costante impegno dell’Autore per gli studi storici calabresi, e non solo per quelli di carattere ecclesiastico, ma, più in generale, per tutti gli aspetti della cultura della nostra regione, dall’archeologia all’arte, dalla religiosità popolare alla letteratura ed altro ancora. Chi vi parla, che condivide con Don Luigi gli stessi interessi culturali, segue da moltissimi anni l’attività di scrittore e ricercatore di L. Renzo, a dire il vero, molto prolifica, e ne apprezza il rigore e la chiarezza espositiva, fin dal lontano volume “Francesco Marino e Campana nel Seicento” (Fasano Ed. CS, 1976), seguito da numerose altre pubblicazioni, che sarebbe lungo elencare.
Da sacerdote della Diocesi di Rossano prima (dal 1971) e di Rossano-Cariati, dopo (dal 1986), Don Luigi non poteva mancare di interessarsi allo studio della storia della “sua” Diocesi e lo fece già nel 1990, con la pubblicazione del volume “Archidiocesi di Rossano-Cariati. Lineamenti di storia”, con ampia prefazione di mons. Serafino Sprovieri, che è stato il primo arcivescovo della nuova circoscrizione diocesana denominata ARCIDIOCESI di ROSSANO-CARIATI. Mons. Sprovieri, nella sua lucida presentazione del libro di D. Luigi, rilevò opportunamente l’importanza di avere una “storia diocesana”, considerato anche che, all’epoca, mancava una specifica monografia sull’argomento. “La memoria del suo passato” –e questo vale per qualsiasi diocesi – “interessa oggi una Chiesa son solo per ovvi motivi culturali, ma per una ragione squisitamente teologica”, osserva ancora S. Sprovieri. “Attraverso la propria storia si conosce meglio l’evoluzione della fede, colta nel suo inesauribile incarnarsi in un territorio”. Non si può che essere d’accordo con la riflessione di Mons. Sprovieri, dicendo, insieme a lui, che “una pubblicazione storica vada salutata non solo quale meritoria impresa culturale, ma anche quale necessario strumento cognitivo che aiuta a rendere ragione del peculiare stile religioso vigente, in una contrada, perché quando si affrontano i problemi concreti, l’uomo si confronta sempre con quella tipica carta segreta che è la mentalità e si sa che le mentalità emergono lentamente dal vissuto di molte generazioni”.
E andiamo alla pubblicazione oggetto di questo incontro culturale, edita da “Consenso” nel giugno del 2022. Il titolo è “ARCIDIOCESI di ROSSANO-CARIATI-Storia di un cammino”, con prefazione dell’attuale arcivescovo, mons. Maurizio Aloise. Si tratta di un corposo volume di 336 pagine, diviso in 16 capitoli, che ripercorrono cronologicamente un arco temporale che va dalla primitiva diffusione del Cristianesimo nel Brutium alle vicende storiche del Novecento e dei primi due decenni del Terzo Millennio. Scrive l’arcivescovo Aloise, nella sua prefazione, che “quando ci si accosta a questo libro, ciò che colpisce positivamente è lo stile scorrevole e chiaro che lo contraddistingue”. Non possiamo che essere d’accordo con lui!
Il primo capitolo ha ad oggetto la presenza e la diffusione del Cristianesimo nel Brutium e nella Sibaritide in particolare. Dopo averci dato un quadro generale della problematica in questione e delle tesi avanzate da vari studiosi specialisti dell’argomento, Renzo conclude che “si può avanzare l’ipotesi che nel IV secolo in Calabria vi fossero vescovi operativi a Rhegium, a Taurianum, a Blanda Julia (Scalea-Praia a mare) a Copia-Thurii, a Consentia, a Tempsa (Amantea), a Trapeia (Tropea), a Scolacium, a Locri, e, poi, a Kroton e a Nicotera.
Interessante per noi che viviamo nella zona della Calabria nord-orientale che vide in età antica l’affermazione e il predominio della colonia greca di SYBARIS, è la trattazione che Don Luigi fa della diffusione del Vangelo nella Sibaritide. Argomento, questo, quanto mai dibattuto, che fu oggetto di un importante convegno specialistico già nel lontano 1978, quando a Rossano e Corigliano, si confrontarono noti studiosi come P.F. Russo, Filippo Burgarella, P. Giovanni Guzzo, Giorgio Otranto ed altri. Il tema di quel convegno era: Testimonianze cristiane antiche ed altomedievali nella Sibaritide. La tesi sostenuta nel libro di L. Renzo, che noi, condividiamo pienamente, è che il Cristianesimo sia attecchito nella Sibaritide già dal II secolo, se pensiamo che da Thurio, a stare alla tradizione, proveniva il papa S. Telesforo (123-134). Don Luigi non manca di citare le testimonianze archeologiche della presenza cristiana nella Sibaritide, tra le quali l’epigrafe cristiana (IV sec.) rinvenuta in loc. Tornice di Rossano nel 1967, la villa romana di Larderìa (Roggiano Gravina), una domus palaziale con splendidi mosaici da pavimento, con motivi a fasce, cerchi, quadrati, crocette dentro piccoli rombi.
Agli elementi portati da Don Luigi a comprova della precoce diffusione del Cristianesimo in Sibaritide, vorrei aggiungere un’altra acquisizione archeologica molto significativa, ad opera di un’archeologa medievista francese, Ghislaine Noyè, che ho avuto l’opportunità di conoscere personalmente e di intervistare per contro del periodico culturale “Il Serratore”, nell’ottobre del 2000. La Noyè, autrice di numerose ricerche nei siti tardo-antichi della Calabria, come Scolacium, Stalettì, Copanello, Vibo Valentia, nel 2000 venne a scavare nella zona del Parco del Cavallo, a Sibari, scoprendo le tracce della chiesa della prima comunità cristiana di Thurii: un edificio sacro molto piccolo, in cui furono trovati due pilastri, che dovettero avere la funzione di base dell’altare, e una bella pavimentazione in cocciopesto. L’edificio sacro era stato costruito inglobando una parte delle terme romane di Copia-Thurii. Dopo essere stata usata come chiesa, la struttura venne spogliata completamente e ne furono asportati i materiali, tra cui grossi blocchi di marmo.
Don Luigi, occupandosi, nella I parte del suo libro, del Vescovato bizantino di Rossano, ne trae la conclusione che l’ipotesi più verosimile sia quella che Rossano sia succeduta, insieme a Cassano, a THURIO, non prima, però, del secolo VIII. Rossano non sarebbe stata subito sede arcivescovile, anche se, nel X secolo, svolgeva un ruolo politico e militare importante per la presenza dello stratega bizantino. La promozione da semplice sede episcopale a sede arcivescovile sarebbe avvenuta presumibilmente nel 1085. Sede episcopale lo era fin dal 715.
Un bel capitolo l’autore dedica al tema “Rossano nella dominazione bizantina”, soffermandosi sulla situazione politico-amministrativa, su quella religiosa, sul culto dell’Achiropita, sul Codex Purpureus, sulla Chiesa di S. Marco, su quella della Panaghìa, tutti argomenti a lui familiari, dei quali si è occupato in tanti suoi precedenti studi monografici. Troppo lungo sarebbe volerli sintetizzare e, d’altra parte, non vogliamo togliere ai lettori il piacere di scoprirli e gustarli autonomamente, attraverso la lettura del libro.
Nel capitolo “Rossano arcivescovato di rito greco” l’autore approfondisce il periodo più glorioso della storia episcopale della città bizantina, soffermandosi sui primi arcivescovi, sulla metropolìa, sulla Cattedrale: la prima, quella bizantina che, secondo la tradizione popolare, sarebbe stata ubicata, nella Grecìa (dove ora sorge la chiesa di S. Anna, già di S. Nicola al Vallone) e quella “normanna”, corrispondente all’attuale chiesa-cattedrale. Don Luigi riferisce anche in merito alle scoperte archeologiche emerse durante i lavori di ristrutturazione della Cattedrale effettuati negli anni 1993-94-95., che hanno portato alla scoperta dei resti dell’antico pavimento a mosaico e hanno evidenziato almeno tre strutture sacre inglobate l’una nell’altra, databili tra VI-VII e XI-XII secolo. Il primo edificio, risalente al VI-VII secolo, dovette essere di dimensioni piuttosto ridotte (metri 10 per 7,30); il secondo, molto più ampio, si può far risalire all’VIII-IX secolo, coincidente con l’istituzione della Diocesi. Il terzo edificio (secoli XI-XII) coincide con la cattedrale normanna e risalirebbe a quando Rossano divenne sede arcivescovile. Si ebbe allora un rifacimento totale e l’edificazione di una nuova struttura a pianta basilicale, secondo i canoni stilistici normanni. Molto pregevole doveva essere il pavimento a mosaico della nuova chiesa, affine per tipologia ed epoca al pavimento musivo della Chiesa del Patìr e a quello della cattedrale di Otranto.
Il libro di Don Luigi, come potete verificare dalla sintetica esposizione che ve ne sto facendo, non è solo la storia dell’Arcidiocesi di Rossano-Cariati, è molto di più e contiene, nella sua ampia mole, tante altre storie, che sarebbe lungo raccontare tutte, così, come, ad esempio, la storia del monachesimo bizantino a Rossano, la storia dei monasteri normanni, nel territorio della Diocesi. E, poi, ci sono, nel volume, qua e là, dei saggi autonomi, collocati come “appendice” ad alcuni capitoli. Fra questi voglio citare il saggio sul Monastero del Patirion e quello su Giovanni Filagàto (o Filàgato?), figura importante della storia ecclesiastica del X secolo, ma molto discussa e non ancora definitivamente inquadrata, per la complessità delle sue vicende biografiche e della sua collocazione storica in quella difficile età della storia della Chiesa che fu il X secolo.
Di particolare interesse è il capitolo VII, che tratta dei Monasteri normanni nell’arcidiocesi di Rossano-Cariati. I Normanni, come è noto, mirarono con ogni mezzo a sgretolare l’organizzazione ecclesiastica bizantina che trovarono in Calabria, imponendo vescovi latini e creando – come scrive Renzo – “condizioni di contrasto con ogni forma di spiritualità orientale”. L’esempio più famoso di queste nuove fondazioni normanne è il Monastero del Patìrion (o di S. Maria Nuova Odigitria) di Rossano, fondato dal monaco Bartolomeo da Simeri, con l’appoggio dell’ammiraglio normanno Cristodulo, che si fece promotore di donazioni per dare al monastero la possibilità di assolvere ai suoi compiti spirituali e religiosi. Facendo una sorta di censimento dei monasteri attivi in diocesi in epoca bizantino-normanna, Don Luigi segnala a Cariati la presenza di due monasteri: quello di S. Andrea (nella contrada Palumbo-Zagaria), che nel XIII secolo era ormai diruto e in stato d’abbandono e fu ceduto dall’arcivescovo Basilio di Rossano, ai monaci di Fontelaurato, e quello della SS. Annunziata ( a volte detto anche “benedettino”), che dovette essere, all’origine, un monastero basiliano femminile, fondato nel XIII secolo e soppresso nel 1450 dal vescovo Giovanni.
Di CARIATI e della sua DIOCESI Renzo si occupa nel capitolo IX del suo libro e, riguardo alla sua origine, concorda con la tesi sostenuta nel libro Cariati nella storia dei fratelli Liguori, che, cioè, è da escludere completamente che Cariati intesa come sede vescovile possa avere a che fare con l’ecclesia carinensis (di Carini, in Sicilia) alla quale fa riferimento papa Gregorio Magno in una sua lettera inviata al vescovo di Reggio, Bonifacio, per affidargli la cura di quella diocesi decaduta per le continue incursioni degli Arabi. Così come sono da rigettare le tesi degli storici Barrio, Marafioti e Ughelli, che datano al v secolo la nascita di Cariati come sede vescovile. L’origine ufficiale della Diocesi di Cariati, concordando ancora con gli storici Liguori, deve essere datata- scrive Don Luigi – al 27 novembre 1437, quando, su petizione di Covella Ruffo, feudataria di Cariati, la chiesa di San Pietro (attuale Cattedrale S. Michele A.) fu promossa a chiesa-cattedrale, da papa Eugenio IV. Il primo vescovo della nuova diocesi fu il francescano Bernardo Faiardi.
Siamo, dunque, nel 1437. Fino ad allora Cariati era appartenuta all’Arcidiocesi di Rossano, dalla quale ora si stacca, insieme ad altre tre parrocchie, anch’essa appartenenti a Rossano: Scala, San Morello e Terravecchia, diventando sede episcopale a sé stante. S’interrompe, da questo momento, il “cammino comune” tra Rossano e Cariati e le due circoscrizioni ecclesiastiche avranno ognuna la propria storia. Rossano, sia pur privata di Cariati, Scala, S. Morello e Terravecchia, proseguirà la sua storia prestigiosa di sede arcivescovile, anche se, pur elevata a metropolìa, non avrà mai nessun vescovado suffraganeo, neppure Cariati, al quale ha sempre aspirato, ma senza esito, nonostante i tentativi degli arcivescovi De Lagni (1493) e Muscettola (1733).
La sede episcopale di Cariati, costituitasi nel 1437, avrà una storia tutta sua e troverà, fin dall’inizio, il suo scenario di esplicazione pastorale in un altro territorio, lontano e diverso da quello di Rossano: l’area storico-culturale ed ecclesiastico-religiosa del Marchesato di Crotone e del Crotonese (se vogliamo !) , in cui, nel corso dei secoli, furono erette, ed ebbero vita plurisecolare ben 8 diocesi (o “diocesette”, se ci riferiamo alle loro dimensioni territoriali e demografiche molto ridotte ) : Santa Severina, la più importante, che fu anche metropolìa (per mille anni, fino al 1952), Crotone, Belcastro, Umbriatico, Strongoli, Isola, San Leone, Cerenzia, poi diventata Cerenzia-Cariati ). Quando la Diocesi di Cariati fu istituita, aveva un territorio molto ridotto che – guarda caso! – corrispondeva a quello attuale di Cariati, Scala Coeli, San Morello, Terravecchia. Di lì a poco, però, con ogni probabilità dal 1441, col vescovo Giovanni, la minuscola diocesi venne unita alla più antica sede episcopale di Cerenzia, prendendo la denominazione di Cerenzia- Cariati, che manterrà fino al 1818, allorquando, in applicazione della bolla “De utiliori” di papa Pio VII, ingloberà le soppresse diocesi di Cerenzia, Umbriatico e Strongoli, ingrandendosi molto come territorio e prendendo il nome di DIOCESI di CARIATI. Una diocesi, quindi, vasta e importante ( nel 1962 aveva sotto la sua giurisdizione 21 paesi e 30 parrocchie, con una popolazione di 72 mila abitanti ) che esisterà per 160 anni, fino al 1979, allorquando fu letteralmente smembrata e mortificata dal decreto “Quo aptius” di Giovanni Paolo II che le tolse il 90 per 100 del suo territorio, i 16 comuni che allora ricadevano nella provincia di CZ, assegnandoli alla Diocesi di Crotone, che aveva come suo territorio soltanto la città di Crotone, Isola Capo Rizzuto e le frazioni di Papanice e Apriglianello. A Cariati furono lasciate soltanto le parrocchie di Scala Coeli, Terravecchia e San Morello, facendola tornare al 1437, all’umiltà delle origini, mi verrebbe da dire! Questo “piccolo troncone” di una estesa diocesi, i cui confini andavano dal Nicà al Neto, con una storia plurisecolare, si chiamò ancora Diocesi di Cariati, e ne furono titolari Cantisani (1979-80) e Sprovieri (1980-86), fino al 1986, allorquando un nuovo decreto pontificio la univa “aeque principaliter” in perpetuo a Rossano, che diventava Arcidiocesi di Rossano-Cariati (arcivescovi di Rossano-Cariati: Sprovieri, Cassone, Marcianò, Satriano, Aloise).
Quella fu, a mio avviso, una decisione poco rispettosa della storia! Sarebbe stato più giusto e naturale abbinare, senza smembrarla, l’ex Diocesi di Cariati a quelle di Santa Severina e di Crotone, dando vita all’Arcidiocesi di S. Severina- Cariati- Crotone (cito le sedi vescovili in base alle loro dimensioni territoriali dell’epoca). Staccando Cariati dal suo territorio diocesano, che gli era appartenuto per secoli, e unendola a Rossano, è stata un’operazione non del tutto “indolore”, ed infatti, ricordo che ci fu, all’epoca, una grande delusione ed amarezza, per quel decreto che fu percepito come la perdita per Cariati della sua antica sede vescovile, che tanto prestigio gli aveva arrecato nei secoli.
E’ vero che la costituzione della nuova circoscrizione ecclesiastica Rossano-Cariati fu conseguenza di una “decisione pontificia”, ma è anche vero che quella “decisione” fu presa dopo aver sentito il parere dell’episcopato calabrese del tempo, nel quale, in quegli anni, la personalità più potente era l’allora vescovo di Crotone, mons. Giuseppe Agostino. Egli stesso, nel comunicare al suo clero il contenuto del decreto “Quo aptius”, nel 1979, avverte un certo disagio per la “penalizzazione” di Cariati, quando afferma “La Diocesi di Cariati rimane con i comuni in provincia di Cosenza ed è unita aeque principaliter con l’arcidiocesi di Rossano. C’è comunque un attento studio perché la gloriosa diocesi di Cariati, ora molto ridotta, diventi, relativamente ad alcuni paesi vicini, un centro dinamico sul piano pastorale e funzionale su quello del governo ecclesiale. La città di Cariati, decentrata, come era finora, dal resto della diocesi, diverrà gravitazione effettiva di un altro comprensorio (…). Accettiamo così, tutti in spirito di ossequiosa condivisione, la decisione pontificia (…). Certo, ormai, anche con il centro di Cariati, avevamo stabilito un rapporto di comunione pastorale molto bello ed è naturale che il distacco ci faccia soffrire. Illumina, però, la misteriosa e viva realtà in Cristo che rompe ogni barriera ed ogni confine”.
Sono trascorsi ormai 36 anni da quando Cariati è unita a Rossano! I cariatesi si sono abituati a non avere il vescovo residente in loco, nell’antico palazzo a fianco alla cattedrale! D’altra parte, più volte, nella storia della Chiesa italiana, si sono registrati momenti in cui i pontefici hanno ritenuto di modificare i territori delle circoscrizioni diocesane, aggiornandoli al cambiamento dei tempi. Quanto ho riferito prima, nasce soltanto, dall’essere stato io testimone di quel “passaggio” storico e dal mio bisogno di raccontare, da storico locale e “da testimone diretto e consapevole” di quegli anni, come sono andate effettivamente le cose. Lungi da me qualsiasi volontà di recriminare in merito a quel decreto pontificio che, dopo secoli, ci ha ricondotti nell’alveo storico-culturale della Provincia di Cosenza e della nostra originaria Diocesi di appartenenza: quella di Rossano! D’altra parte, devo dire, che gli arcivescovi di Rossano-Cariati, da Sprovieri a Cassone, da Marcianò a Satriano, all’attuale arcivescovo mons. Maurizio Aloise hanno avuto rispetto per la “storia vescovile” passata di Cariati, senza farla sentire in una “condizione di minorità” ! E i cariatesi hanno capito tutto questo ed accolgono sempre con gioia, affollando la Concattedrale, gli arcivescovi di Rossano- Cariati, ogni volta che vengono nella nostra cittadina. Rimane, comunque, vero un dato di fatto indiscutibile: nel 1986 a Rossano non è stata unita “aeque principaliter” l’ex Diocesi di Cariati (quella nata nel 1818, col decreto di Pio VII De utiliori, che comprendeva 20 comuni e un territorio molto vasto che si estendeva dal fiume Nicà al Neto ), ma soltanto una piccolissima parte di essa : il capoluogo della vecchia diocesi (Cariati) e soltanto due paesi (Scala Coeli con S. Morello, sua frazione, e Terravecchia), ragion per cui la cosiddetta ARCIDIOCESI di ROSSANO-CARIATI, ha soltanto 36 anni di vita,e comprende gli episcopati di Serafino Sprovieri (1986-1991), Andrea Cassone (1991-2006), Santo Marcianò (2006-2013), Giuseppe Satriano (2014-2021), Maurizio Aloise (in carica). Raccontare la gloriosa storia della ex Diocesi di Cariati, esistita fino al 1979 fa sempre piacere, ma farla passare per storia dell’Arcidiocesi di Rossano-Cariati non è storicamente corretto, perchè quella è un’altra storia, che oggi è parte integrante di un’altra arcidiocesi: quella di Crotone-Santa Severina.
E torniamo all’esame dei capitoli del libro di Luigi Renzo. Il capitolo IX dedicato a Cariati, oltre a fornirci la cronotassi dei vescovi nei secoli XV-XVI, ci dà preziose informazioni su ognuno di essi. In quel periodo tennero la cattedra vescovile di Cariati, vescovi importanti, come Giovanni SERSALE (1506-1520 ), ricordato per aver presieduto una delle sessioni del Processo cosentino per la canonizzazione di Francesco di Paola, o Giovanni CARNUTI (1535-1544), originario di Caccuri che, nel 1544, nel corso dell’incursione turchesca del corsaro Barbarossa (1544), fu fatto prigioniero insieme a gran parte della popolazione e portato ad Algeri, dove morì in cattività per i maltrattamenti subiti. E, poi, Federico FANTUZZI (1556-1561), canonico di San Petronio in Bologna, nominato vescovo di Cariati e Cerenzia nel 1556, che prese parte al Concilio di Trento, facendosi notare per alcuni suoi interventi. Un cenno particolare spetta al vescovo Properzio RESTA (1586-1601), originario di Tagliacozzo (Abruzzo), dotto maestro di teologia negli Studi di Venezia, Padova e Bologna, che governò per quindici anni, con prudenza e saggezza, la Diocesi, facendosi promotore di un importante sinodo diocesano, svoltosi in cattedrale nel 1594, in cui si discusse delle direttive del Concilio di Trento (1545-1563), che tardavano ad essere recepite, a distanza di trent’anni, nelle periferiche diocesi della Calabria. I temi affrontati dai padri sinodali di Cariati furono numerosi, tra cui ne voglio citare qualcuno: Honestas clericorum, Mercatura a clericis fugienda, Concubinatus vitandus, Seminarium erigendum, Mulieres lacerantes vultum pro defunti, ecc..Quel sinodo cariatese del Vescovo Resta (1594) dimostra chiaramente che spesso non è l’ampiezza della cattedra a rendere efficace la lezione e che anche dai pulpiti più umili possono scaturire insegnamenti importanti, specie in epoche difficili, come fu quella della Controriforma.
Il capitolo X del libro di Don Luigi è dedicato al rito latino a Rossano nel secolo XV e illustra un “passaggio storico- chiave” della plurisecolare vicenda dell’arcidiocesi rossanese: l’abbandono del rito greco e il passaggio a quello latino. Passaggio che avvenne con l’arcivescovo Matteo SARACENO (1460-1481), già compagno di S. Bernardino da Siena, vicario provinciale dell’Osservanza e predicatore, originario di Reggio C. M. Saraceno fu preceduto come arcivescovo di Rossano, da Antonio SERGENTINO RODA (1434-1442), sotto il cui episcopato avvenne il “distacco” di Cariati da Rossano e la sua elevazione a sede vescovile., con le parrocchie di Scala, San Morello e Terravecchia, su decreto di papa Eugenio IV.
Un altro arcivescovo rossanese che ha interagito con la storia ecclesiastica di Cariati, è Giambattista DE LAGNI (1493-1507), promotore di un sinodo diocesano, nel 1493, al quale avrebbe partecipato come suffraganeo, il vescovo di Cariati. De Lagni venne anche a Cariati, il 15 giugno 1494, in visita pastorale come “metropolitano”, e visitò anche la Terra della Scala, centro importante della diocesi di Cariati.
Tra gli arcivescovi rossanesi del Cinquecento figura anche un futuro pontefice: Giovanni Battista CASTAGNA, che resse l’arcidiocesi nel periodo post-tridentino, portando in essa una ventata di rinnovamento. Diventerà papa col nome di Urbano II, ma regnerà per soli 12 giorni. Morì nel 1590.
Ampio spazio, opportunamente, Don Luigi dedica a quanto avvenne nelle diocesi di Rossano e di Cariati, dopo lo storico concilio tridentino, osservando giustamente che “la riforma non potè essere completa e tempestiva perché le direttive del Concilio, per essere pienamente applicate, dovettero fare i conti con condizioni storiche, sociali e politiche più delicate e complesse rispetto al nord Italia. Ci furono, pertanto, luci ed ombre nell’applicazione di quelle direttive. Si fa riferimento anche all’istituzione dei Seminari, voluti proprio dal concilio tridentino: a Rossano fu aperto pochi anni dopo il Concilio dall’arcivescovo G.B. Castagna; a Cariati sarà il vescovo Maurizio Ricci a introdurlo nel 1625 (“ho introdotto il Seminario che non vi era, e l’ho fabbricato dalle fondamenta, ed è stato molto necessario, perché era tanta l’ignoranza di questi poveri preti, che levatone pochi non vi era siccome ancora non vi è chi sappia dire: absolvo a peccatis tuis”, Rel 1625).
Un capitolo del libro (il XII) è dedicato agli Ordini religiosi mendicanti e ai numerosi conventi presenti nel territorio delle due diocesi, da quelli dei Minori conventuali a quegli degli Osservanti, tra i quali compare, naturalmente, il Convento degli Osservanti di Cariati, con annessa Chiesa (nota anche come Chiesa di S. Filomena), fatto costruire “extra moenia” da Bonaccorso Caponsacco. Nel 1589 ne parla la “relatio ad limina” di Properzio Resta: “c’è un monasterio di frati zoccolanti, dove ci stanno sei frati tra sacerdoti e laici”. Oltre al Convento degli Osservanti a Cariati si registra la presenza di un Ospizio creato nel “borgo d’abasso”, alla Marina, presso la chiesa di S. Maria delle Grazie. L’Ospizio suddetto fu prima dei Cappuccini e poi passò ai Domenicani. Vi soggiornò, in ritiro spirituale, per qualche tempo, il Beato Angelo di Acri, canonizzato nel 2017.
Un altro capitolo interessante del libro (il XIII) è dedicato alle Confraternite laicali, dette anche “Congreghe”, che, come scrive Don Luigi, “nel clima generale della riforma cattolica hanno rappresentato una sorta di chiave di volta nella struttura organizzativa delle comunità locali e delle stesse parrocchie a tutto vantaggio e beneficio del culto e delle opere di carattere sociale ed assistenziale”. Nelle diocesi di Rossano e di Cariati, dal XVI al XX secolo, ne vennero erette complessivamente 86. La storia vescovile delle Diocesi di Rossano e di Cariati continua con la cronotassi dei vescovi e l’illustrazione del loro operato pastorale nei secoli XVII e XVIII, cioè nel Seicento e nel Settecento. Questi due secoli rappresentano, a mio avviso, relativamente alla storia vescovile di CARIATI, i “secoli d’oro”, per la caratura culturale, morale, teologica, ecclesiale dei prelati che l’hanno retta in quell’epoca. Il libro di D. Luigi non manca di dare il giusto rilievo ad ognuno di loro, fornendoci puntuali informazioni sul loro operato tratte dalle relazioni “ad limina” di questi vescovi. Vorrei soffermarmi su qualche figura più emblematica di vescovi del Sei-Settecento. Comincio da Filippo GESUALDI da Castrovillari, che fu vescovo di Cariati dal 1602 al 1618, una figura di primo piano della storia della Chiesa italiana del periodo post-tridentino, che, fu, prima dell’episcopato cariatese, per dieci anni Ministro Generale dell’Ordine dei Minori conventuali ad Assisi, durante i quali riordinò la disciplina, ristabilì la vita comune, promosse lo spirito di San Francesco. Gesualdi insegnò in vari Collegi italiani dell’Ordine, ed ebbe tra i suoi discepoli Francesco di Sales. Scrisse molte opere, non tutte pervenuteci. Pregevoli le sue relazioni ad limina da vescovo di Cariati, dalle quali emergono le difficili condizioni della diocesi in quel tempo: vi si parla di “povertà, ignoranza, scarsezza di clero, soprusi dei signorotti locali, disperazione della popolazione”, ma anche del pericolo dei Turchi e della costante paura con cui si viveva a Cariati (“Cariati in 20 anni due volte fu depredata e incendiata dai Turchi con grave danno dei cittadini, i quali per il terrore dei Turchi, sono rimasti pochi, in numero di 800”). Sotto il suo episcopato nacquero alcune confraternite laicali e un ospedale per i poveri, gli infermi e i pellegrini. Morì in Cariati in odore di santità il 12 dicembre 1618 e fu sepolto nella sagrestia.
Dopo Gesualdi, dal 1619 al 1626, fu vescovo di Cariati e Cerenzia, Maurizio RICCI da Tortona, il cui nome rimane legato alla fondazione del Seminario, che egli allocò provvisoriamente in un paese interno della diocesi, Verzino, più sicuro di Cariati, molto esposta alle incursioni turchesche. Importantissima la sua relazione ad limina del 1621, che descrive con grande puntualità la difficile situazione in cui versava la Diocesi in quel tempo, per la povertà e l’ignoranza della popolazione, ma anche del clero. Ci dà anche preziose informazioni sulla popolazione residente: Cariati sarà da mille anime, Terravecchia 700, la terra della Scala 1670, San Morello 300”.
Altro vescovo importantissimo che governò la Diocesi di Cariati nel XVII secolo, dal 1633 al 1657, fu Francesco GONZAGA, figlio naturale del IV Duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga. Fu educato nella splendida corte degli Estensi a Ferrara e quindi indirizzato alla vita religiosa. Il suo episcopato fu uno dei più lunghi della storia della Chiesa cariatese (24 anni) ed uno dei più proficui per il progresso materiale e spirituale della diocesi di Cariati. A Gonzaga si devono: la costruzione del Palazzo Vescovile (che sarà completato da Girolamo Barzellino nel 1685), del Palazzo del Seminario, il restauro della Cattedrale e l’erezione della torre campanaria. Fu lui, nel 1652, a consacrare la Chiesa dell’Annunziata, fatta ricostruire da Don Francesco Montanari. Gonzaga celebrò anche due sinodi diocesani (nel 1641 e nel 1652) e istituì le Confraternite della SS. Trinità e della S. Croce. Nel 1657 fu trasferito alla sede episcopale di Nola, dove morirà nel 1673.
Al Gonzaga succedette sulla cattedra vescovile di Cariati , un’altra figura importante della storia della Chiesa in Italia del periodo post-tridentino: Agazio DI SOMMA (originario di Simeri Crichi ), dotto uomo di chiesa ed anche valido letterato, laureato in “utroque iure” alla Sapienza di Roma A Roma partecipò intensamente alla vita letteraria di quell’epoca, aderendo a varie accademie e intrecciando rapporti di amicizia con i maggiori poeti del tempo come G. Battista Marino e Girolamo Preti. Scrisse molto; tra le sue opere si segnalano: un poema eroico sulla scoperta dell’America (America), un dialogo filosofico sull’Arte di vivere felici, un Historico racconto dei terremoti della Calabria. Il suo episcopato cariatese durò soltanto cinque anni e poi fu trasferito alla sede di Catanzaro, dove morirà nel 1671. Passando al Settecento, troviamo altri nomi importanti nella cronotassi dei Vescovi di Cariati (e Cerenzia), anche questi puntualmente segnalati con ampie note biografico-storiche, nel libro di Don Luigi. Troppo tempo richiederebbe una narrazione completa del loro operato. Mi piace soffermarmi su alcuni di questi vescovi. Il primo, in ordine cronologico, è Giovanni Andrea TRIA, che fu vescovo della Diocesi di Cariati dal 1720 al 1726. Era di Laterza, in Puglia, fece i suoi studi a Napoli e a Roma, e si laureò “in utroque iure”. Prima di essere nominato vescovo di Cariati, fu Vicario Generale della Diocesi di Recanati, la città di G. Leopardi, Nunzio straordinario presso la corte portoghese e incaricato d’affari diplomatici in Svizzera. Da vescovo della Diocesi di Cariati, è ricordato soprattutto per aver ridotto alla ragione i feudatari, tra cui il Duca di Verzino (Cortese) e il barone di Scala, che avevano fatto man bassa dei beni ecclesiastici. Dal 16 al 18 marzo 1726 il vescovo Tria tenne nella nostra Cattedrale un importante sinodo diocesano, mirato a correggere alcune inveterate abitudini del clero e del popolo, che erano in netto contrasto con lo spirito della Chiesa post-tridentina. Papa Benedetto XIII, dopo l’episcopato cariatese, lo trasferì alla Diocesi di Larino (Abruzzo), dove restò solo un anno e poi lasciò quella diocesi per andare a ricoprire importanti incarichi presso la Curia romana. Morirà nel 1760. Un cenno merita anche Carlo RONCHI, napoletano, che governò la Diocesi per 32 anni, dal 1732 al 1764. A lui si deve un totale rifacimento della Cattedrale e la sua intitolazione a San Michele Arcangelo (prima era intitolata ai santi Pietro e Paolo). Il 29 gennaio 1735 Ronchi ospitò nell’Episcopio il re di Napoli Carlo di Borbone, in viaggio verso la Sicilia. Si assentò per lunghi periodi da Cariati, lasciando il governo della diocesi ad un Vicario. Tra i vescovi di fine Settecento, riveste particolare importanza Felice Antonio D’ALESSANDRIA, che tenne la nostra cattedra vescovile dal 1792 al 1802. Era originario di Monteleone (odierna Vibo V.), aveva fatto studi rigorosi presso i Gesuiti e fu “prelato sapientissimo e celebre”, come lo definisce Vito Capialbi, il quale riferisce anche che “era eloquente nel predicare e insinuante nel porgere” tanto “da occupare i principali pergami del Regno”. Giunto a Cariati, il D’Alessandria, chiamò a nuova vita il Seminario; riattò l’Episcopio e ristabilì la disciplina nel clero. D’Alessandria fu convinto assertore degli ideali monarchici e in modo particolare della legittimità della dinastia borbonica sul Regno di Napoli e, per questo, divenne il più fidato collaboratore del Cardinale Ruffo nell’azione repressiva contro le repubbliche della Calabria Citeriore. Nel 1799 accolse in episcopio lo stesso Cardinale. Lo stesso anno, su incarico del cardinale Ruffo, si recò a Rossano per definire con l’arcivescovo Cardamone, le condizioni di resa di quella città, che si era schierata dalla parte repubblicana. Il suo pensiero politico trova espressione nelle Lettere, notificazioni ed istruzioni pastorali (edite a Napoli nel 1795), in cui scrive, tra l’altro, che “contro il perfido giacobinismo” è lecito “servirsi financo della spada”. Morì nella sua città a Monteleone, nel 1803.
Nell’Ottocento, esattamente nel 1818, come ho già detto prima, la Diocesi di Cariati, in seguito all’applicazione della bolla “De utiliori” di Pio VII, s’ingrandiva di molto perché ad essa venivano aggregate le soppresse diocesi di Umbriatico, Strongoli e Cerenzia, dando vita all’unica Diocesi di Cariati, esistita con tale nome fino al 1979. Il primo vescovo della nuova Diocesi ingrandita fu Gelasio SERAO (1819-1838), al quale si devono il restauro della cattedrale e dell’episcopio e l’organizzazione della nuova Diocesi ingrandita, con la celebrazione, nella cattedrale di Cariati, di ben tre sinodi. Un posto di rilievo tra i vescovi cariatesi dell’Ottocento spetta al cosentino Nicola GOLIA (1839-1873), successore di Serao, il cui nome è legato principalmente al totale rifacimento della Cattedrale (157) e alla riconferma della sua intitolazione a San Michele Arcangelo. A suo merito sono da ascrivere anche la fondazione di un Monte frumentario, destinato a venire incontro alle famiglie bisognose dei contadini di Cariati e della diocesi.
Agli inizi del Novecento, tra i vescovi di Cariati, si segnala la figura di Mons. Giovanni SCOTTI (1911-1918), vescovo colto e fortemente impegnato nel sociale, promotore a Cariati ( e poi anche a Rossano, dove sarà trasferito nel 1918), di importanti iniziative quali la fondazione della prima cooperativa di pescatori (1914), il primo asilo d’infanzia (1915), l’istituzione nei principali centri della Diocesi di casse rurali per i contadini. Notevole figura di vescovo di Cariati nel Novecento (dal 1936 al 1956) fu anche mons. Eugenio Raffaele FAGGIANO, che è ricordato per la sua efficace azione pastorale, la sua generosità verso i bisognosi, la santità della sua vita (nel 1987 è stato aperto a Cariati il processo informativo per la sua canonizzazione). L’ultimo vescovo di Cariati, con residenza nella sede episcopale cariatese, è stato mons. Orazio SEMERARO, che resse la Diocesi dal 1957 al 1967, ed è ricordato per l’opera di riordinamento ed ammodernamento delle strutture organizzative diocesane e per la sua entusiastica ed attiva partecipazione al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-65). Nel 1979, dopo 542 anni dalla sua istituzione, la Diocesi di Cariati cessava di esistere e, nel 1986, la città di Cariati, insieme ai paesi di Scala Coeli, Terravecchia e San Morello (e non la vecchia Diocesi di Cariati) veniva aggregata a Rossano, che diventava Arcidiocesi di Rossano-Cariati.
Tralascio di riportarvi la cronotassi i dei vescovi di Rossano dell’ Otto/Novecento , e le note informative sul loro operato, la cui esposizione richiederebbe troppo tempo, ma voglio sottolineare l’importanza dell’ultimo capitolo del libro di Don Luigi, quello dedicato al Novecento in generale, in cui si parla del Sinodo diocesano del 1906, organizzato dall’arcivescovo Orazio Mazzella e si descrive molto bene il clima di novità e di attenzione al sociale che si registra dopo l’enciclica “Rerum novarum” di Leone XIII; ci si sofferma sulla nascita delle Casse Rurali, promosse da D. Carlo De Cardona, e nate anche a Rossano e a Cariati, su iniziativa del Vescovo Giovanni Scotti. Don Luigi non manca di delineare storicamente anche un altro importante momento della storia della Chiesa del ‘900, e dei riflessi che esso ebbe sulle nostre diocesi: il Concilio Vaticano II, al quale parteciparono Mons. Giovanni Rizzo per l’allora Arcidiocesi di Rossano e Mons. Orazio Semeraro per la Diocesi di Cariati, che portarono nei rispettivi territori le “novità” di quella storica assise che cambiò la storia della Chiesa cattolica. Grazie Don Luigi, per averci regalato questa “summa” della storia diocesana di Rossano e di Cariati, dal 1986 nota come “Arcidiocesi di Rossano-Cariati”.
Conclusioni
Con una storia così importante, così ricca di figure eminenti tra gli oltre cinquanta Vescovi che l’hanno governata nei cinque secoli e mezzo della sua storia, la sede vescovile di Cariati, dal 1986 unita, insieme a Scala Coeli, Terravecchia e San Morello, alla più antica e prestigiosa ARCIDIOCESI di ROSSANO, con la denominazione di ROSSANO-CARIATI, merita, a nostro avviso, di continuare ad avere un ruolo significativo e dinamico nella nuova circoscrizione ecclesiastico-diocesana di cui fa parte ormai da 36 anni, e meritano di essere tenuti nella giusta considerazione, con i necessari interventi di restauro e di valorizzazione, le testimonianze architettoniche, storico-artistiche e documentali che essa ancora conserva e che sono i “segni” tangibili del suo glorioso passato. Mi riferisco principalmente alla Concattedrale, bisognosa di essere restaurata all’esterno, che risulta oggi molto degradato; al Campanile seicentesco fatto costruire dal vescovo Gonzaga, anch’esso in uno stato di estremo degrado; al Palazzo dell’Episcopio, un esempio di architettura religiosa del Seicento, iniziato a costruire dal vescovo Gonzaga e completato, nel 1685, da Gerolamo Barzellino, per quattrocento anni fulcro della storia vescovile di Cariati, da molti anni in attesa di interventi di recupero e di valorizzazione, che ancora non arrivano. Della sua importanza storico-architettonica si sono interessate, recentemente, ricercatrici universitarie e storiche dell’architettura delle Università di Arcavacata e del Politecnico di Milano, in una pubblicazione che tratta dei “Gonzaga fuori di Mantova” e degli edifici ecclesiastici da loro fatti costruire in varie città d’Italia, tra cui Cariati. Colgo l’occasione, come storico locale ma anche come presidente di un’associazione Onlus, che si prefigge come suo primo scopo la “protezione dei beni culturali” (la SIPBC, sezione regionale Calabria), per sollecitare il nostro amato arcivescovo Aloise a prendere a cuore queste problematiche relative al patrimonio storico-religioso di Cariati e a lavorare per avviarle a soluzione. Chiudo il mio intervento sulla presentazione del bel libro di Don Luigi, ringraziandolo per avermi scelto come relatore e scusandomi con lui se, nella mia esposizione ho dato largo spazio a Cariati, ma sono certo che Lui, che è anche storico della sua Campana, sa bene cosa vuol dire l’amore e l’attaccamento al proprio paese, dettato semplicemente dal cuore e dalla volontà di dare il massimo per la sua valorizzazione sotto il profilo storico-culturale. Ringrazio anche Assunta Scorpiniti per l’organizzazione della manifestazione al Museo.
Un doveroso saluto e un’ affettuosa espressione di congratulazioni per il bel lavoro editoriale, sento, infine, di doverlo rivolgere, al giovane editore del libro, Giuseppe F. Zangaro, titolare della conSenso publishing, al quale mi legano sinceri rapporti di amicizia, che fanno riferimento, ancor prima che a lui, a suo padre Luigi, titolare della storica Tipografia rossanese Grafosud e della piccola casa editrice Studio Zeta, delle quali Giuseppe continua con impegno, competenza e grinta imprenditoriale l’importante storia . Ricordo con piacere e una certa nostalgia il periodo d’oro della bottega libraria artigiana di Gino Zangaro: gli anni ‘80 e ’90 del secolo scorso, allorquando essa era diventata punto di ritrovo di un vero e proprio cenacolo di cultura degli intellettuali di Rossano e della Sibaritide, che si diede anche una sua rivista, il periodico “La Voce”, al quale demmo la nostra collaborazione di cultori di memorie storiche locali, sia io che Don Luigi Renzo, non solo con articoli per il giornale, ma anche con la pubblicazione, di tanto in tanto, di qualche saggio stampato egregiamente da Gino Zangaro della Grafosud, poi Studio Zeta. Giuseppe, figlio di Gino, ha “respirato”, da ragazzo, quel clima di grande vivacità culturale che c’era nella tipografia di suo papà, e da lì è derivata la sua passione per l’arte tipografica e la voglia di continuarne la tradizione paterna!
Franco Liguori
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Romano e Franco LIGUORI, Cariati nella storia. Vicende di un comune della Calabria ionica dalle origini ai nostri giorni, parte II, Il Vescovado, pp.169-256, Tipolito Ferraro, Cirò Marina, 1981.
Franco e Romano LIGUORI, CARIATI, in “Le Diocesi d’Italia”, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri e E. Guerriero, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 2008.
Franco LIGUORI, Francesco Adilardi e Cariati: il giudice regio e lo storico della diocesi (in appendice: “Cenni storici sulla sede vescovile di Cariati, aggiornati fino al 2014”, a cura di F. e R. Liguori), Tip. Orlando, Corigliano Calabro, 2015.
Luigi RENZO, Archidiocesi di Rossano-Cariati. Lineamenti di storia, Studio Zeta, Rossano, 1990.
Vito BARRESI-Pietro PONTIERI, Pastore nel Sud (capitoli I e II, dedicati alle tre Diocesi del Crotonese (S. Severina, Crotone e Cariati), prima del Decreto Quo aptius del 1979), Stampa Grafica Cosentina, Cosenza, 1994.
Giuseppe AGOSTINO, Tra memoria e speranza. Vescovo in Calabria per oltre un trentennio (1974-2006), Editoriale Progetto 2000, Cosenza, 2006.

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